MICROSCOPIA  OTTICA  DIGITALE                 

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Microscopio Ottico

 

  Elementi di base                                                                                         

Poichè ogni analisi morfologica fa capo all'occhio umano, conviene analizzarne sommariamente la struttura e conoscere alcuni elementi fondamentali del meccanismo della visione.

L'occhio è un organo sensoriale specializzato per la recezione degli stimoli luminosi. Consiste di una sorta di camera oscura con una lente frontale, il cristallino, a lunghezza focale variabile: dall'infinito a circa 25 cm; un diaframma variabile, l'iride; un sistema sensoriale paragonabile ad una pellicola fotosensibile, la retina. Le prestazioni di tale sensore sono sia come lente a distanza focale variabile (accomodazione), sia come pellicola fotosensibile, (sistema dei fotorecettori retinici).

Se si vuole osservare con maggiore dettaglio un oggetto, istintivamente lo si avvicina all'occhio. In tale modo aumenta la dimensione dell'angolo sotto cui viene visto l'oggetto dal centro del cristallino. Ciò non solo ci fa vedere l'oggetto più grande, ma permette di identificarne particolari più fini, cioè di aumentare la risoluzione.

Per potere di risoluzione, infatti, si intende la possibilità di vedere distinti due punti o due linee molto vicine tra loro. Tuttavia questa operazione ha un limite in quanto ci si accorge  che il potere di accomodazione o di messa a fuoco da parte del cristallino si arresta verso I 20 - 25 cm. A tale distanza si possono distinguere due punti  che distano tra loro circa 0,2 mm; 0,2 mm (o 200 micron) è limite massimo del potere di risoluzione dell'occhio umano.

Per migliorare tale risoluzione e consentire una visione distinta di particolari più piccoli di 0,2 mm si deve interporre, tra l'oggetto e l'occhio stesso, una lente di potere diottrico maggiore di 4 diottrie. Se il fuoco di una lente è di 25 mm si potrà avvicinare l'oggetto 10 volte rispetto alla visione ad occhio nudo, ottenendo un incremento del potere risolutivo di 10 volte, ovvero sarà possibile distinguere come separati due punti che distano tra loro 0,02 mm (o 20 micron).

  Microscopio semplice

Anche se le possibili applicazioni delle lenti convergenti erano note da molti secoli, l'idea di utilizzare una  lente biconvessa di circa 20 - 25 diottrie, montata su un sostegno sopra un tavolino forato (per potere inviare un fascio di luce tramite uno specchietto) su cui appoggiare I vetrini da osservare, venne in mente verso il XIV secolo.

 A partire dal 1500 era già in uso un microscopio che, per essere basato su un solo sistema di lenti, veniva chiamato microscopio ottico semplice. Tale microscopio funzionava come una lente di ingrandimento molto potente dando dell'oggetto osservato una immagine virtuale diritta e ingrandita.

 Tuttavia le lenti a distanza focale molto corta presentavano numerose aberrazioni (di sfericità, cromatiche ecc.); per ottenere un effettivo miglioramento delle immagini e del potere di risoluzione si pensò di ricorrere ad un sistema accoppiato di due lenti. Questo sitema viene usato nel Microscopio Ottico Composto

  Microscopio Composto

Come dice il termine, il microscopio composto essenzialmente consiste di due lenti accoppiate tra loro: la lente che si accosta all'occhio per osservare è detta Oculare, mentre quella che è vicina al campione da osservare è detta Obiettivo. In sostanza l'Oculare ingrandisce ulteriormente l'immagine già ingrandita che produce l'obiettivo. Dalle leggi dell'ottica geometrica e conoscendo la distanza focale delle due lenti, Oculare e Obiettivo, si può teoricanmente calcolare l'ingrandimento totale, che è pari al prodotto degli ingrandimenti delle singole lenti.

  La risoluzione ottica

Aumentando l'ingrandimento ci si rende conto sperimentalmente che, oltre un certo limite, non si distinguono particolari ulteriori, cioè non aumenta il potere di risoluzione. In altri termini, qualsiasi lente si impieghi, non si possono distinguere come separati due punti che distano tra loro meno di 0,2 micron.

Si dice allora che l'ingrandimento utile, fornito da un microscopio ottico, è di circa 1000 volte (1000X) e il suo potere risolutivo è di 0,2 micron. Tale limite risolutivo è di 0,2 micron ed è il massimo che si può ottenere da qualunque microscopio su base ottica.

La ragione di questo limite va ricercata nella natura ondulatoria delle radiazioni luminose. Infatti, il limite di risoluzione R viene espresso dalla formula scoperta da Abbe: R= L/2n*sena  di cui L = lunghezza d'onda della luce ; n = indice di rifrazione del mezzo interposto tra oggetto e lente che solitamente è l'aria; a = angolo di apertura della lente Obiettivo.

Dato che l'indice di rifrazione per l'aria è circa 1 e sena può essere generalmrnte considerato prossimo a 1, R risulta proporzionale a 1/2 L cioè alla metà della lunghezza d'onda della luce. Considerando la luce con lunghezza d'onda di 400 nm, il potere di risoluzione sarà quindi di 200 nm ossia 0,2 micron; ciò corrisponde a quanto verificato sperimentalmente.

Si deduce che, per migliorare il limite di risoluzione di un microscopio, non potendo agire incrementando sena, che è già nei migliori obirttivi  prossimo a 1, una via possibile è quella di aumentare il valore del mezzo interposto n.

Si potrà interporre pertanto tra lente e soggetto un mezzo con indice di rifrazione più alto come ad esempio una goccia di olio con indice di rifrazione circa uguale a quello del vetro (n = 1,5) (si parla allora di osservazione microscopica a immersione che permetterà di distinguere punti distanti tra loro poco più di 0.1 micron) (0.17 micron secondo alcuni).

Oppure si può utilizzare luce di lunghezza d'onda minore, quale la radiazione ultravioletta (L= 250- 350 nm) con la quale si può raggiungere un potere di risoluzione di 0,1 micron che rappresenta il limite estremo della microscopia ottica. In tal caso, essendo la luce ultravioletta invisibile all'occhio umano, per il rilevamento delle immagini occorrerà fare ricorso a pellicole fotografiche sensibili all'ultravioletto.

Tale limite può essere superato solo utilizzando radiazioni a lunghezza d'onda ancora più brevi, quali gli elettroni che però richiedono strumenti completamente diversi dai microscopi a lenti di vetro.

  Parti del Microscopio

 Il Microscopio è composto di varie parti ottiche e meccaniche. Il tubo portaottica sorregge una coppia di oculari dal lato dell'osservatore (un solo oculare nei microscopi più economici detti monoculari) e gli obiettivi dal lato del tavolino su cui viene posto l'oggetto da osservare. Gli obiettivi sono montati su una torretta girevole denominata "Revolver" che consente una loro rapida sostituzione. Tubo e tavolino sono montati su un braccio ricurvo e il tutto su un basamento. Braccio e basamento vanno sotto il nome generico di "Stativo"

Per la messa a fuoco vengono utilizzati dei dispositivi meccanici di spostamento, uno per grandi spostamenti ( vite macrometrica) e uno per messa a fuoco fine (vite micrometrica). I dispositivi di messa a fuoco agiscono sul tavolino alzandolo o abbassandolo, mentre in altri microscopi tali dispositivi  agiscono sul tubo  che viene pertanto a scorrere sul braccio dello stativo (così chiamato perchè era la parte dell'apparecchio che restava ferma).

Sotto il tavolino che presenta un foro al centro, per il passaggio della luce, è posto il dispositivo di illuminazione  costituito da una sorgente di illuminazione  e dal condensatore di Abbe. La sorgente di illuminazione è oggi data da lampade a incandescenza o alogene mentre un tempo era costituita da uno specchietto concavo  che raccoglieva la luce diffusa e la inviava alle parti ottiche sovrastanti.

 Il condensatore di Abbe (scoperto dal fisico tedesco di cui porta il nome) è una lente convergente che concentra la luce, emessa dalla sorgente, sul preparato da cui poi fuoriesce un cono luminoso il cui diamentro coincide con quello della lente frontale dell'obiettivo (cioè la lente dell'obiettivo più vicina al preparato). Tramite delle cremagliere il condensatore può essere alzato od abbassato variando la convergenza dei raggi luminosi e quindi regolando la quantità di luce che raggiunge la lente frontale. Tale luminosità può essere ulteriormente regolata aprendo o chiudendo un diaframma a iride posto nel condensatore.

  Gli Obiettivi

 Su ogni obiettivo e su ogni oculare sono riportati dei valori (per esempio 10X, 40X, ecc.) che indicano l'ingrandimento proprio di quegli specifici dispositivi ottici. E' possibile calcolare l'ingrandimento totale che si ottiene utilizzando un determinato obiettivo con un determinato oculare semplicemente moltiplicando I relativi valori riportati.

Negli obiettivi oltre all'ingrandimento viene riportato un altro valore (solitamente espresso da un numero decimale come per esempio 0,63; 0,95 ecc.) relativo all'apertura numerica di quell'obiettivo. L'apertura numerica nella formula di Abbe è data dal prodotto n x sena dove a è il semiangolo di illuminazione di quel dato obiettivo e indica la massima quantità di luce che l'obiettivo è in grado di ricevere  per la formazione delle immaginiA parità di ingrandimento sono da preferire quegli obiettivi con maggiore apertura numerica perchè daranno immagini più luminose e più risolte.

 Gli obiettivi sono denominati a "secco" o a "immersione". Negli obiettivi a secco, tra la lente frontale e il preparato, allorchè viene messo a fuoco, è interposta aria (n = 1), mentre negli obiettivi ad immersione è solitamente interposta una goccia di olio di cedro che ha lo stesso indice di rifrazione del vetro (n = 1,5). Nei migliori obiettivi a secco (per esempio nei 40X di grande pregio) tale angolo arriva intorno a 70 gradi; poichè in tali obiettivi l'indice di rifrazione del mezzo interposto  (aria) è pari a 1, ne consegue che n x sena sarà circa uguale a 0,95; tale valore è eccellente. di norma però gli obiettivi 40X a secco più commerciali hanno un angolo di illuminazione più piccolo, per cui l'apertura numerica si riduce a 0,65 o meno. Se però come mezzo interposto, anzichè usare l'aria, utilizziamo un olio trasparente con lo stesso indice di rifrazione del vetro (n = 1,5) ne consegue che un obiettivo con un angolo di illuminazione di circa 70 gradi avrà una apertura numerica di circa 1,4; tale è infatti l'apertura numerica dei migliori obiettivi  detti ad  "immersione in olio".

 Gli obiettivi ad immersione sono identificati dalla sigla OIL (= olio), o, meno frequentemente, dalle iniziali IMM. Per alcuni usi particolari (per esempio colture in vitro) esistono degli obiettivi a immersione in acqua, la cui sigla di identificazione è W (iniziale della parola acqua in lingua tedesca).

 

Caratteristiche principali degli Obiettivi

 

Tipologie                                                                                                         

Esistono diverse qualità di obiettivi a seconda si siano corretti per le diverse aberrazioni  dovute principalmente ad aberrazioni cromatiche e di sfericità. Le prime dipendono dal fatto che le diverse lunghezze d'onda della luce visibile vengono messe a fuoco in punti diversi per cui si formano immagini con aloni iridescenti; le seconde danno un'immagine piana e a fuoco solo al centro del campo microscopico mentre in periferia l'immagine è curva e sfuocata. E' possibile ovviare a tali aberrazioni con l'aggiunta di lenti correttive.

 Gli obiettivi corretti per le aberrazioni cromatiche sono denominati Apocromatici (sigla di identificazione APO), mentre quelli corretti per le aberrazioni di sfericità sono detti Planari (PLAN); quelli che presentano entrambe le correzioni sono denominati Planapocromatici (PLANAPO) e costituiscono le migliori ottiche ma anche le più costose disponibili sul mercato. Gli obiettivi economici sono detti Acromatici (non hanno sigle di identificazione); essi non presentano o quasi correzioni per le aberrazioni di sfericità (alla periferia l'immagine si sfuoca) mentre per quello che riguarda le aberrazioni cromatiche la correzione è limitata alla sola lunghezza d'onda dell'azzurro per cui usando tali obiettivi sarebbe bene usare filtri azzurri, cioè dello stesso colore della radiazione luminosa su cui è stata effettuata la correzione.

Nei microscopi di cui siè data ora la descrizione, l'obiettivo forma dell'oggetto un'immagine ingrandita e proiettata in un determinato piano all'interno del tubo microscopico (immagine intermedia); tale immagine viene poi presa dall'oculare per essere ulteriormente ingrandita. Questo tipo di ottiche che formano l'immagine intermedia in un determinato piano focale, vengono definite Ottiche Finite.

 Da diversi anni vanno diffondendosi microscopi I cui obiettivi proiettano l'immagine ad una distanza infinita, perciò I raggi che escono dall'obiettivo corrono quasi paralleli lungo il tubo microscopico. Tale immagine viene ripresa da una lente intermedia (che funziona come l'obiettivo di una macchina fotografica regolata all'infinito) e proiettata in un ben preciso piano focale del tubo microscopico (a 165 mm circa). L'immagine intermedia è infine ripresa dall'oculare e ulteriormente ingrandita. Gli obiettivi con queste caratteristiche vengono denominati obiettivi all'infinito e rappresentano il futuro della microscopia ottica in quanto presentano meno aberrazioni (i raggi luminosi decorrono quasi paralleli e le anomalie dovute a fenomeni di convergenza sono ridotte o assenti.

 Sono più luminosi sia perchè hanno una maggiore apertura numerica e sia perchè posseggono un minore numero di lenti. Il vantaggio di tali obiettivi consiste, inoltre, nel fatto che I microscopi che ne sono dotati sono estremamente versatili e idonei a ricevere senza problemi accessori aggiuntivi all'interno del tubo microscopico (quali prismi di Nicol, prismi per il contrasto interferenziale, filtri per fluorescenza, ecc.) proprio perchè l'aggiunta di tali dispositivi non disturba il percorso dei raggi paralleli. Nei microscopi tradizionali invece il percorso fortemente convergente dei raggi luminosi all'interno del tubo è disturbato dall'aggiunta di accessori ottici, per I quali spesso è richiesta la sostituzione degli obiettivi con altri costruiti appositamente.

 

Microscopio a Contrasto di Fase

 

  Concetti Base                                                                                               

L'occhio apprezza le differenze di lunghezza d'onda (colore) e di intensità della luce (ampiezza); tuttavia esso non riesce a percepire le variazioni di fase.

La maggior parte dei componenti cellulari sono quasi uniformemente trasparenti alla luce della regione visibile dello spettro a causa soprattutto del loro alto contenuto di acqua.

Nel microscopio ottico composto a trasmissione I diversi organuli della cellula o I diversi tipi cellulari nei tessuti possono essere distinti tra loro grazie ad una precedente colorazione differenziale; senza colorazione come si verifica nell'osservazione dei preparati a fresco o nelle colture in vitro, l'alta quantità di acqua e la piccola differenza nell'indice di rifrazione tra le diverse parti rende le strutture omogeneamente trasparenti per cui non è possibile o quasi vederle distinte tra loro. Esistono però piccole differenze nell'indice di rifrazione tra le diverse parti; Zernike (1935) trovò il sistema per sfruttare al massimo queste piccole differenze, renderle visibili e consentire l'osservazione di cellule viventi non colorate con un microscopio detto "a contrasto di fase".

  Principio di funzionamento

L'apparecchio si basa sull'uso combinato dei raggi luminosi trasmessi e diffratti che si vengono a trovare all'uscita di un preparato sotto osservazione. Bisogna a questo punto premettere che quando un raggio luminoso colpisce oggetti o fessure di piccole dimensioni (prossime a quelle della lunghezza d'onda della luce incidente), all'uscita non si avrà solo un raggio trasmesso, ma anche uno diffratto il quale, rispetto al trasmesso, risulterà un pò deviato e sfasato di un valore, diverso da organulo a organulo, e dipendente dalla densità della struttura attraversata. Tale fenomeno si verifica anche nel normale microscopio ottico ma le differenze sussistenti tra le onde trasmesse e diffratte non vengono utilizzate per la formazione dell'immagine, che si formerà solo utilizzando I raggi trasmessi.

L'idea di Zernike (premio Nobel nel 1953) fu quella di impiegare per la costruzione dell'immagine anche le onde diffratte dopo averne amplificato la sfasatura e averle fatto interferire con quelle trasmesse. Zernike da calcoli matematici capì che solo aumentando la sfasatura iniziale di un ulteriore 1/4 di lunghezza d'onda l'interferenza tra I raggi trasmessi e diffratti poteva essere effettuata con risultati apprezzabili.

  Configurazione strumentale

Il dispositivo consiste in un diaframma scuro (diaframma di fase) posto nel condensatore che lascia passare la luce solo in una corona circolare così che alla lente del condensatore arriverà un fascio di luce conico, cavo al centro. Successivamente si trova un disco trasparente con una scanalatura circolare (lamina di fase) posto nel piano focale dell'obiettivo, in modo che I raggi trasmessi vengono a passare nella scanalatura (dove il vetro è meno spesso) mentre quelli diffratti, avendo un percorso deviato rispetto ai trasmessi, passano dove il vetro ha maggiore spessore per cui vengono ulteriormente ritardati. Lo spessore del vetro della lamina di fase è calcolato dal costruttore in maniera tale che questo ritardo aggiuntivo sara di 1/4 di lunghezza d'onda. Alla fine il ritardo di ogni raggio diffratto sarà dato dalla sfasatura iniziale causata dalle strutture cellulari (diversa da organulo e organulo perchè dipendente dal rispettivo indice di rifrazione) + 1/4 di lunghezza d'onda.

A questo punto I raggi diffratti vengono fatti congiungere (interferenza) con quelli trasmessi. Se la sfasatura finale è vicina a 1/2 di lunghezza d'onda, l'interferenza sarà di tipo distruttivo e l'ampiezza dell'onda risultante si abbasserà dando immagini scure; se la sfasatura è più vicina a 1/4 di lunghezza d'onda l'interferenza è di tipo costruttivo e l'onda risultante avrà una maggiore ampiezza dando immagini più luminose. L'immagine finale sarà quindi data dalla combinazione di punti chiari e scuri.

Gli obiettivi per il microscopio a contrasto di fase sono pertanto obiettivi speciali, perchè al loro interno hanno la lamina di fase. Essi di soloto sono identificati dalla sigla PH (iniziale della parola fase); tuttavia possono essere usati anche come normali obiettivi semplicemente togliendo dal condensatore il diaframma nero di fase.

  Campi di utlizzo

Il microscopio a contrasto di fase viene impiegato correntemente per l'osservazione di cellule e tessuti viventi ed è particolarmente utile nello studio delle cellule coltivate in vitro. Esso, infatti, consente di evitare l'uso di coloranti che nella maggior parte dei casi non possono essere adoperati sulle cellule viventi. Tali coloranti richiedono l'uso di fissativi e manipolazioni varie che possono provocare modificazioni morfologiche e chimiche e la morte certa delle cellule.

 

 

Microscopia a interferenza

 

  Concetti Base-                                                  

Basato su principi simili a quelli su cui si fonda il microscopio a contrasto di fase , il microscopio interferenziale ha il vantaggio di fornire anche dati quantitativi. Con tale tecnica è possibile evidenziare piccole continue variazioni  dell'indice di rifrazione , a differenza della microscpia a  contrasto di fase dove sono apprezzabili solo differenze molto nette. Le variazioni di fase possono essre trasformate in colori così vivaci che una cellula vivente può somigliare ad un preparato colorato.

  Principio di funzionamento-

In tale tipo di microscopio la luce emessa da una sorgente è divisa in due raggi; uno è inviato direttamente attraverso il preparato, l'altro segue un percorso differente. I due raggi in seguito si ricombinano e interferiscono come nel microscopio a contrasto di fase. Nei confronti di quello diretto, il raggio che ha attraversato il preparato è ritardato, cioè ha subito un cambiamento di fase che è in funzione dello spessore dell'oggetto e della differenza tra l'indice di rifrazione dell'oggetto e quello dell'ambiente.

  Campi di utilizzo-

Oltre a vari usi la cui utilità per l'istologo è paragonabile a quella del microscopio a contrasto di fase, con tale microscopio è possibile misurare il peso secco di una struttura poichè esso è legato all'indice di rifrazione.

 

 

Microscopia interferenziale secondo Nomarski

 

Principio

Una versione particolare del microscopio interferenziale è il Microscopio interferenziale di Nomarski (dal nome dell'autore che lo inventò nel 1955).

Tale microscopio utilizza la luce polarizzata  che, tramite un particolare prisma di Wollaston viene scissa in due raggi divergenti tra loro di una piccola distanza (variabile da obiettivo a obiettivo) e compresa tra 1 micron e 0,1 - 0,2 micron (minima distanza risolvibile dal microscopio).

 In tal modo un raggio colpisce un certo punto dell'oggetto e l'altro un punto immediatamente vicino ma compreso all'interno della risoluzione di quell'obiettivo. Tra I due raggi si viene a creare una certa sfasatura dipendente dall'indice di rifrazione dei mezzi attraversati.

Tramite un secondo prisma di Wollaston I due raggi vengono fatti interferire e l'immagine che si ottiene è simile a quella del contrasto di fase con in più un evidente effetto di rilievo.

 

 

Microscopia a luce polarizzata

 

Principi di base                                                                                            

La comune luce (non polarizzata) consiste di un fascio di raggi che hanno una direzione comune di propagazione ma vibrano in differenti piani. La microscopia a polarizzazione utilizza, per l'illuminazione del preparato, luce polarizzata, cioè luce che vibra in un piano solo. Un oggetto posto sul cammino di tale luce può risultare:

  1. Isotropo, se trasmette la luce con la stessa velocità in tutte le direzioni, se cioè presenta lo stesso indice di rifrazione in tutte le direzioni.
  2. Anisotropo o Birifrangente, se non trasmette la luce con la stessa velocità in tutte le direzioni in quanto presenta indici di rifrazione diversi a seconda del piano di vibrazione del raggio di luce rispetto all'orientamento delle molecole.

Il materiale birifrangente, quindi, presenta due indici di rifrazione corrispondenti a due diverse velocità di trasmissione della luce polarizzata. Quando tale materiale è colpito da un raggio di luce polarizzata in un piano, questo viene scisso in due raggi polarizzati in due piani perpendicolari tra loro (detti raggio ordinario e raggio straordinario) che si propagano con differente velocità.

  Il microscopio a luce polarizzata

 Il microscopio a luce polarizzata differisce da quello a luce ordinaria perchè presenta due dispositivi di polarizzazione, il polarizzatore e l'analizzatore, costituiti entrambi o da una lastrina di pellicola polaroid o da un prisma di Nicol o di calcite.

Il polarizzatore è montato sotto al condensatore, l'analizzatore al di sopra degli obiettivi. Il polarizzatore trasforma la luce comune che arriva dalla sorgente di illuminazione in luce polarizzata, cioè in luce che vibra in un solo piano. Poichè anche l'analizzatore permette il passaggio di luce polarizzata in un solo piano, risulta che facendo ruotare l'analizzatore o il polarizzatore si ottiene la massima illuminazione del campo microscopico nella posizione in cui I piani di polarizzazione della luce attraverso I due dispositivi cristallini sono paralleli fra di loro mentre si vedrà buio (estinzione) quando essi sono incrociati a 90 gradi.

Se però si interpone un materiale  birifrangente questo apparirà illuminato anche in quest'ultima condizione in quanto scompone la luce trasmessa dal polarizzatore in due raggi perpendicolari tra loro; uno ordinario e uno straordinario. Quest'ultimo, avendo il piano di vibrazione ruotato di 90 gradi, riuscirà a passare attraverso l'analizzatore dando luminosità.

  Utilizzo

 Il microscopio polarizzatore permette quindi di stabilire, nella struttura che si esamina, la presenza di zone isotrope e di zone anisotrope e poichè la birifrangenza dipende dalla regolare disposizione nella struttura di molecole asimmetriche, consente di ricavare indirettamente utili informazioni di carattere ultrastrutturale sia su cellule vive sia fissate.

Con tale dispositivo si possono identificare birifrangenze intrinseche di tipo cristallino e paracristallino (fibre collagene, muscolari, ecc.), nonchè studiare le variazioni di birifrangenza in seguito a trazioni o compressioni meccaniche del campione. Facendo ruotare il polarizzatore sull'analizzatore finchè non si osserva la massima luminosità, in base ai gradi di rotazione necessari, si può dedurre l'orientamento delle molecole o delle strutture anisotrope. Per esempio se la massima luminosità avviene con prismi ruotati di 45 gradi, l'orientamento della sostanza birifrangente è obliquo.

 

 Gentile concessione www.dfmmolinari.com

 Microscopia a Fluorescenza

 

  Principi di base

La proprietà più importante del microscopio a Fluorescenza è la fonte di luce, che deve essere ricca di componenti ultraviolette o violette-blu. Queste radiazioni eccitano la parte fluorescente del colorante (fluorocromo) e viene così prodotta luce fluorescente. Un filtro posto in Oculare blocca la luce ultravioletta ma permette alla luce fluorescente di lunghezza d'onda maggiore di passare. Sono così visibili in uno sfondo nero punti luminosi fluorescenti. La parte più importante dell'illuminatore a vapori di Mercurio ad alta pressione è il sistema di filtri posto davanti alla lampada configurato in modo da lasciare giungere al preparato solo la lunghezza d'onda adatta per il particolare fluorocromo (colorante) in uso, eliminando ogni altra radiazione visibile. Tutte le ottiche del microscopio devono essere adatte per la trasmissione della luce ultravioletta e per tale motivo sono realizzate in quarzo, tale materiale è anche molto più resistente al forte calore che si sviluppa.

  Campi di utilizzo

La microscopia a Fluorescenza ha svolto una parte importante nelle indagini relative a molti aspetti della ricerca biologica. Si è rivelata essenziale nella diagnosi precoce del cancro, che richiede l'esame della distribuzione microscopica di antigeni specifici. In batteriologia ha na parte importante nel riconoscimento di batteri in qualità di antigeni. Ha il grande vantaggio, sui metodi tradizionali, di essere estremamente rapida e accurata nelle applicazioni di laboratorio. Molti metodi per l'identificazione di centinaia di componenti dei tessuti sono oggi entrati nella routine e le loro tecniche si sono estese ad altri settori; ad esempio all'esame di materiale botanico e allo studio dei virus.

 

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