Elementi
di base
Poichè ogni analisi
morfologica fa capo all'occhio umano, conviene analizzarne
sommariamente la struttura e conoscere alcuni elementi
fondamentali del meccanismo della visione.
L'occhio è un organo
sensoriale specializzato per la recezione degli stimoli
luminosi. Consiste di una sorta di camera
oscura con
una lente frontale, il cristallino,
a lunghezza focale variabile: dall'infinito a circa
25 cm; un diaframma variabile, l'iride;
un sistema sensoriale paragonabile ad una pellicola
fotosensibile, la retina.
Le prestazioni di tale sensore sono sia come lente a
distanza focale variabile (accomodazione), sia come
pellicola fotosensibile, (sistema
dei fotorecettori retinici).
Se si vuole osservare
con maggiore dettaglio un oggetto, istintivamente lo
si avvicina all'occhio. In tale modo aumenta la dimensione
dell'angolo sotto cui viene visto l'oggetto dal centro
del cristallino. Ciò non solo ci fa vedere l'oggetto
più grande, ma permette di identificarne particolari
più fini, cioè di aumentare la risoluzione.
Per potere di risoluzione,
infatti, si intende la possibilità di vedere distinti
due punti o due linee molto vicine tra loro. Tuttavia
questa operazione ha un limite in quanto ci si accorge
che il potere di accomodazione o di messa a fuoco
da parte del cristallino si arresta verso I 20 - 25
cm. A tale distanza si possono distinguere due punti
che distano tra loro circa 0,2 mm; 0,2 mm (o 200
micron)
è limite massimo del potere di risoluzione dell'occhio
umano.
Per migliorare tale
risoluzione e consentire una visione distinta di particolari
più piccoli di 0,2 mm si deve interporre, tra l'oggetto
e l'occhio stesso, una lente di potere diottrico maggiore
di 4 diottrie. Se il fuoco di una lente è di 25 mm si
potrà avvicinare l'oggetto 10 volte rispetto alla visione
ad occhio nudo, ottenendo un incremento del potere risolutivo
di 10 volte, ovvero sarà possibile distinguere come
separati due punti che distano tra loro 0,02 mm (o 20
micron).
Microscopio
semplice
Anche se le possibili applicazioni delle lenti convergenti
erano note da molti secoli, l'idea di utilizzare una
lente biconvessa
di circa 20 - 25 diottrie, montata su un sostegno sopra
un tavolino forato (per potere inviare un fascio di
luce tramite uno specchietto) su cui appoggiare I vetrini
da osservare, venne in mente verso il XIV secolo.
A partire dal 1500 era già in uso un microscopio
che, per essere basato su un solo sistema di lenti,
veniva chiamato microscopio ottico semplice. Tale microscopio
funzionava come una lente di ingrandimento molto potente
dando dell'oggetto osservato una immagine virtuale diritta
e ingrandita.
Tuttavia le lenti a distanza focale molto corta
presentavano numerose aberrazioni
(di sfericità, cromatiche ecc.); per ottenere un effettivo
miglioramento delle immagini e del potere di risoluzione
si pensò di ricorrere ad un sistema accoppiato di due
lenti. Questo sitema viene usato nel Microscopio Ottico
Composto
Microscopio
Composto
Come dice il termine, il microscopio
composto essenzialmente consiste di due lenti accoppiate
tra loro: la lente che si accosta all'occhio per osservare
è detta Oculare,
mentre quella che è vicina al campione da osservare
è detta Obiettivo.
In sostanza l'Oculare ingrandisce ulteriormente l'immagine
già ingrandita che produce l'obiettivo. Dalle leggi
dell'ottica geometrica e conoscendo la distanza focale
delle due lenti, Oculare e Obiettivo, si può teoricanmente
calcolare l'ingrandimento totale, che è pari al prodotto
degli ingrandimenti delle singole lenti.
La risoluzione ottica
Aumentando l'ingrandimento
ci si rende conto sperimentalmente che, oltre un certo
limite, non si distinguono particolari ulteriori, cioè
non aumenta il potere di risoluzione. In altri termini,
qualsiasi lente si impieghi, non si possono distinguere
come separati due punti che distano tra loro meno di
0,2 micron.
Si dice allora che l'ingrandimento
utile, fornito da un microscopio ottico, è di circa
1000 volte (1000X) e il suo potere risolutivo è di 0,2
micron. Tale limite risolutivo è di 0,2 micron ed è
il massimo che si può ottenere da qualunque microscopio
su base ottica.
La ragione di questo limite
va ricercata nella natura ondulatoria delle radiazioni
luminose. Infatti, il limite di risoluzione R viene
espresso dalla formula scoperta da Abbe:
R= L/2n*sena di cui L = lunghezza d'onda della
luce ; n = indice di
rifrazione del mezzo
interposto tra oggetto e lente che solitamente è l'aria;
a = angolo di apertura della lente Obiettivo.
Dato che l'indice
di rifrazione per l'aria è circa 1 e sena può essere
generalmrnte considerato prossimo a 1, R risulta proporzionale
a 1/2 L cioè alla metà della lunghezza d'onda della
luce. Considerando la luce con lunghezza d'onda di 400
nm, il potere di risoluzione sarà quindi di 200 nm ossia
0,2 micron; ciò corrisponde a quanto verificato sperimentalmente.
Si deduce che, per
migliorare il limite di risoluzione di un microscopio,
non potendo agire incrementando sena, che è già nei
migliori obirttivi prossimo a 1, una via possibile
è quella di aumentare il valore del mezzo interposto
n.
Si potrà interporre
pertanto tra lente e soggetto un mezzo con indice di
rifrazione più alto come ad esempio una goccia di olio
con indice di rifrazione circa uguale a quello del vetro
(n = 1,5) (si parla allora di osservazione microscopica
a immersione che permetterà di distinguere punti distanti
tra loro poco più di 0.1 micron) (0.17 micron secondo
alcuni).
Oppure si può utilizzare
luce di lunghezza d'onda minore, quale la radiazione
ultravioletta (L= 250- 350 nm) con la quale si può raggiungere
un potere di risoluzione di 0,1 micron che rappresenta
il limite estremo della microscopia ottica. In tal caso,
essendo la luce ultravioletta invisibile all'occhio
umano, per il rilevamento delle immagini occorrerà fare
ricorso a pellicole fotografiche sensibili all'ultravioletto.
Tale limite può essere
superato solo utilizzando radiazioni a lunghezza d'onda
ancora più brevi, quali gli elettroni che però richiedono
strumenti completamente diversi dai microscopi a lenti
di vetro.
Parti
del Microscopio
Il
Microscopio è composto di varie parti ottiche e meccaniche.
Il tubo portaottica sorregge una coppia di oculari dal
lato dell'osservatore (un solo oculare nei microscopi
più economici detti monoculari) e gli obiettivi dal
lato del tavolino su cui viene posto l'oggetto da osservare.
Gli obiettivi sono montati su una torretta girevole
denominata "Revolver" che consente una loro
rapida sostituzione. Tubo e tavolino sono montati su
un braccio ricurvo e il tutto su un basamento. Braccio
e basamento vanno sotto il nome generico di "Stativo"
Per la messa a fuoco
vengono utilizzati dei dispositivi meccanici di spostamento,
uno per grandi spostamenti ( vite macrometrica) e uno
per messa a fuoco fine (vite micrometrica). I dispositivi
di messa a fuoco agiscono sul tavolino alzandolo o abbassandolo,
mentre in altri microscopi tali dispositivi agiscono
sul tubo che viene pertanto a scorrere sul braccio
dello stativo (così chiamato perchè era la parte dell'apparecchio
che restava ferma).
Sotto il tavolino
che presenta un foro al centro, per il passaggio della
luce, è posto il dispositivo di illuminazione costituito
da una sorgente di illuminazione e dal condensatore
di Abbe. La sorgente di illuminazione è oggi data da
lampade a incandescenza o alogene mentre un tempo era
costituita da uno specchietto concavo che raccoglieva
la luce diffusa e la inviava alle parti ottiche sovrastanti.
Il condensatore di
Abbe (scoperto dal fisico tedesco di cui porta il nome)
è una lente convergente che concentra la luce, emessa
dalla sorgente, sul preparato da cui poi fuoriesce un
cono luminoso il cui diamentro coincide con quello della
lente frontale dell'obiettivo (cioè la lente dell'obiettivo
più vicina al preparato). Tramite delle cremagliere
il condensatore può essere alzato od abbassato variando
la convergenza dei raggi luminosi e quindi regolando
la quantità di luce che raggiunge la lente frontale.
Tale luminosità può essere ulteriormente regolata aprendo
o chiudendo un diaframma a iride posto nel condensatore.
Gli
Obiettivi
Su ogni obiettivo e su ogni
oculare sono riportati dei valori (per esempio 10X,
40X, ecc.) che indicano l'ingrandimento proprio di quegli
specifici dispositivi ottici. E' possibile calcolare
l'ingrandimento totale che si ottiene utilizzando un
determinato obiettivo con un determinato oculare semplicemente
moltiplicando I relativi valori riportati.
Negli obiettivi oltre all'ingrandimento
viene riportato un altro valore (solitamente espresso
da un numero decimale come per esempio 0,63; 0,95 ecc.)
relativo all'apertura numerica di quell'obiettivo. L'apertura
numerica nella formula di Abbe è data dal prodotto n
x sena dove a è il semiangolo di illuminazione di quel
dato obiettivo e indica la massima quantità di luce
che l'obiettivo è in grado di ricevere per la
formazione delle immagini. A parità di ingrandimento
sono da preferire quegli obiettivi con maggiore apertura
numerica perchè daranno immagini più luminose e più
risolte.
Gli obiettivi sono denominati
a "secco" o a "immersione".
Negli obiettivi a secco, tra la lente frontale e il
preparato, allorchè viene messo a fuoco, è interposta
aria (n = 1), mentre negli obiettivi ad immersione è
solitamente interposta una goccia di olio di cedro che
ha lo stesso indice di rifrazione del vetro (n = 1,5).
Nei migliori obiettivi a secco (per esempio nei 40X
di grande pregio) tale angolo arriva intorno a 70 gradi;
poichè in tali obiettivi l'indice di rifrazione del
mezzo interposto (aria) è pari a 1, ne consegue
che n x sena sarà circa uguale a 0,95; tale valore è
eccellente. di norma però gli obiettivi 40X a secco
più commerciali hanno un angolo di illuminazione più
piccolo, per cui l'apertura numerica si riduce a 0,65
o meno. Se però come mezzo interposto, anzichè usare
l'aria, utilizziamo un olio trasparente con lo stesso
indice di rifrazione del vetro (n = 1,5) ne consegue
che un obiettivo con un angolo di illuminazione di circa
70 gradi avrà una apertura numerica di circa 1,4; tale
è infatti l'apertura numerica dei migliori obiettivi
detti ad "immersione in olio".
Gli obiettivi ad immersione
sono identificati dalla sigla OIL (= olio), o, meno
frequentemente, dalle iniziali IMM. Per alcuni usi particolari
(per esempio colture in vitro) esistono degli obiettivi
a immersione in acqua, la cui sigla di identificazione
è W (iniziale della parola acqua in lingua tedesca).
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